
L’architettura può dialogare con l’instabile o il crollo in termini positivi, come testimonianza di modificazioni in atto, come affermazione di un modo di rivoluzionare se stessa e le cose?
Nell’ immaginario umano il crollo rappresenta la fine, il termine ultimo di un edificio, la sua totale inutilità e disintegrazione. In termini architettonici ciò che può essere interessante è se un’architettura può rappresentare una caduta nel suo avverarsi. Una somma di oggetti, di corpi, di strutture mentre abbandonano un loro stato di staticità o sono in movimento prima di raggiungere un altro. L’architettura può rappresentare un crollo appena avvenuto, l’inizio di una nuova era simbolizzato dall’attimo immediatamente seguente a quello della modificazione, dopo che gli elementi dell’architettura (se di architettura si tratta) hanno abbandonato una loro iconografia per assumerne un’altra, dopo il passaggio da uno stato ad un altro, dalla scimmia all’ uomo, dalla società tecnologica alla distruzione atomica. L’ attimo immediatamente seguente, dunque, l’attimo del significato senza un solo minuto di storia, senza nessuna iconografia. E’ il momento dell’anti-costruzione, dell’anti-cantiere, assunto come catarsi; un momento di preoccupata attenzione che è il contrario del fascino romantico del caduco o di quello pieno di storia e spesso sprovvisto di significati del rudere.

Sacripanti, nel progetto di Osaka ha contrapposto dei veri baricentri nascosti a baricentri irreali, creando un continuo movimento e una immagine di perenne mancanza di equilibrio, del resto quasi tutta la sua opera è in questa ricerca di immagini urbane connesse alla mobilità, cioè al fascino di un cantiere perenne, di una costruzione dello spazio rappresentato del suo farsi.